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Un'idea che fa storia - 80 anni
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Salutiamo tutte assieme la carissima Renata Muliari.
Renata ci ha lasciato ieri nella struttura di Colleferro dove era ricoverata.La notizia è arrivata improvvisa in serata da parte del figlio.Dobbiamo molto a Renata per la sua passione politica per le donne profusa in tanti modi a partire dal suo impegno multi-decennale in Noi Donne curando meticolosamente le campagne abbonamenti della rivista fondamentali per la vita e la sostenibilità del giornale e le politiche dell’UDI fino a conoscere personalmente le abbonate di tutto il paese. La sua partecipazione convinta all’UDI non è mai mancata sia nella stagione di Noi Donne, sia come Garante nazionale ma anche successivamente agendo in modo caparbio nell'UDI La goccia (circolo romano nato dopo l’XI Congresso) e parallelamente nell’UDI nazionale sostenendola sempre nei momenti difficili fino all’organizzazione dell’Archivio centrale a via della Penitenza. Impegni che lei portava avanti con grande spirito di unità e collaborazione sia con tante realtà sindacali che associative e istituzionali. Era molto riconoscente verso le donne chi si impegnavano per UDI tanto da non far mancare le sue telefonate o il suo apprezzamento in occasione dell'otto Marzo, nelle campagne del tesseramento o di fronte al nuovo calendario. Non è mai mancato il suo ringraziamento nelle assemblee. A noi è mancata lei quando il declino della sua salute l’ha allontanata dall'attività e presenza in sede e nelle assemblee. Qualcuna direbbe che Renata era una donna del fare. Ma noi diciamo era anche una donna del pensare e insieme dell'agire. Ciao Renata, ti abbracciano tutte le donne dell'Udi che ti hanno conosciuta personalmente o che hanno sentito parlare di te.Siamo tutte più sole Cogliamo l'occasione per rivolgere le nostre condoglianze a tuo figlio Vittorio e a tuo nipote Marcello che sappiamo quanto hai amato e a tua nuora. ---- I funerali si terranno giovedì 27/6 alle h.11,30 nella chiesa di SAN SABA che si trova in cima a via di San Saba.
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RENDICONTAZIONE DEI CONTRIBUTI PUBBLICI RICEVUTI NELL’ANNO 2023 (EX LEGGE 124 DEL 2017)
Pubblicazione obbligatoria a norma di legge
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Si ritorna a parlare delle marocchinate Vittoria Tola e Maddalena Robustelli
Due recenti proposte di legge accendono i riflettori sulle vittime delle marocchinate, che ancora oggi non hanno ricevuto parole di verità sugli stupri di gruppo subiti quaranta anni fa Sabato, 08/06/2024 - E’ del mese scorso la notizia che il sen. Maurizio Gasparri (FI) ha presentato un disegno di legge per l’istituzione di una giornata in ricordo delle vittime degli stupri di gruppo, di cui si macchiò durante la Seconda guerra mondiale un corpo di spedizione francese formato da truppe coloniali. Si richiede che il 17 maggio, come è previsto anche nella mozione approvata poco tempo fa dal consiglio regionale del Lazio, sia riconosciuto come “Giornata nazionale in memoria delle Marocchinate”, per “promuovere iniziative ed eventi celebrativi, con il coinvolgimento di scuole, università ed enti del terzo settore. È nostro dovere far sì che ci sia una corretta informazione sui terribili fatti che hanno segnato la storia del nostro Paese" ha concluso il sen. Gasparri. Senonché nello scorso agosto anche il senatore Andrea De Priamo (FdI) ha firmato un disegno di legge con l’obiettivo di istituire il 18 maggio una giornata nazionale in memoria delle vittime degli stupri di guerra del 1943-44 e un fondo per il risarcimento dei danni subiti. Con tale disegno di legge si intende onorare “la memoria dei tragici eccidi perpetrati ai danni della popolazione italiana durante la Seconda guerra mondiale ad opera, in particolare, delle truppe coloniali, composte in prevalenza da marocchini, algerini, tunisini e senegalesi". Si è indicata tale data commemorativa perché coincide con l’occupazione da parte degli alleati dell'Abbazia di Monte Cassino e la conseguente discesa nella vallata dei coloniali inquadrati nel corpo di spedizione francese in Italia.L’improvviso interesse dei parlamentari di centrodestra per il tragico evento delle marocchinate pare abbia però il torto di denegare la storia di quanto avvenne negli anni immediatamente successivi ad esse. Preliminarmente è necessario approntare un excursus storico sulla vicenda, per illustrarla a chi non la conosca nei suoi specifici contorni storici. La battaglia, che consentì agli alleati di conquistare Montecassino e procedere verso Roma, iniziata nel gennaio 1944, durò all’incirca nove mesi ed, oltre le migliaia di vittime militari, ne lasciò sul campo anche di civili, morte sotto i bombardamenti nonché oggetto di rappresaglie da considerarsi quali danni collaterali, conseguenti allo sfondamento della linea Gustav a difesa dei tedeschi ed alla successiva conquista di Montecassino. Ma le popolazioni civili inermi non furono solo vittime dei tedeschi e delle cadute di bombe ad opera degli anglo-americani, ma anche martiri di quell’inferno che una parte dei conquistatori di Montecassino riversò in tutti i paesi della zona, senza un’apparente ragione. Si collocano in questo contesto gli stupri di massa, definiti marocchinate, perché compiuti dalle truppe coloniali (comprendenti marocchini, algerini, tunisini e senegalesi) e francesi, anche se non solo da loro, sotto il comando del generale Juin. Poiché si trattava di violenze prodotte dalle forze alleate e non da nemici, le vittime furono incapaci di comprendere il pericolo e mettersi in salvo, di capire il senso di quanto successo alle loro comunità, di elaborare le sofferenze subite e in seguito di capire da chi pretendere giustizia. Nel Cassinate quei pochi ufficiali o militari alleati, che tentarono di intervenire e di fermare gli stupri, si sentirono rispondere che non dovevano interessarsene. “Nous sommesici pour faire la guerre”, perché stavano lì per combattere Hitler mica per difendere le donne, e che i marocchini stavano facendo quello che gli italiani avevano compiuto nei loro confronti in Africa o in Grecia. Parole apparentemente assurde, una contraddizione logica e militare evidente per tutti ma, a quanto pare, non per i militari alleati. A loro modo di vedere gli stupri, ufficialmente riconosciuti come tali, furono pochi casi, qualche migliaio per alcuni storici, mentre secondo la parlamentare Maria Maddalena Rossi (Pci), già membro della Costituente e presidente nazionale dell’UDI, quando fa esplodere nel 1952 il caso in Parlamento, furono 60.000 in un territorio estremamente piccolo. Il paese martire assoluto fu Esperia, seguito da altre decine di comuni – all’incirca 58 secondo alcuni calcoli - della provincia di Frosinone fino alla provincia di Latina. Dalle ricostruzioni degli storici, dalla cronaca dell’epoca e da tutte le testimonianze civili, ma anche militari, appare evidente che di queste azioni nefande ne fossero a conoscenza sia gli anglo americani che le autorità italiane, oltre che De Gaulle e il Papa. Furono, quindi, gravissime le responsabilità dei comandi francesi e alleati in generale, specie, se, come risulta, a quelle truppe coloniali fu data promessa, orale o scritta poco importa, che, qualora avessero sfondato la Linea Gustav, avrebbero avuto licenza di saccheggio e di stupro. Come fu subito chiaro, se con i tedeschi bisognava nascondere gli uomini, con gli alleati francesi dovevano essere nascoste le donne, perché subito cominciarono le violenze sessuali collettive nei riguardi di donne di tutte le età. Ogni donna, dai sei ai 90 anni, fu violentata singolarmente o da parte di gruppi numerosi, furono perpetrate sevizie orrende anche nei confronti di minori e anziani, come anche furono commessi assassini di quanti si opponevano, spesso a loro volta violentati, nonché poste in essere violenze fisiche, razzie e rapine. I vertici militari italiani protestarono con gli alleati, ma nessuno organizzò niente per controllare e contenere queste truppe, che i loro stessi ufficiali sembravano non sapere o non volere tenere a freno. Gli stupratori al loro arrivo diffusero la sifilide e la blenorragia dovunque, malattie che i medici condotti con mezzi molto scarsi e del tutto primitivi combatterono anche nelle forme più aggressive, cercando di superare la riservatezza, la vergogna e il pudore delle donne violentate. Per molte di loro la tragedia non si era conclusa con la malattia, le ferite, le gravidanze forzate, perché molti mariti e fidanzati, tornati man mano dalla prigionia, reagivano malamente alla scoperta degli stupri e consideravano molte volte le proprie donne colpevoli delle violenze subite. Da subito però il sindaco di Esperia chiese interventi di riparazione e, soprattutto, farmaci ed aiuti sanitari da recapitare ai medici condotti, che si spesero al massimo per fermare con mezzi infimi la tragedia che avevano di fronte. Il Governo Bonomi e successivamente il Governo Parri intervennero in questo senso, ma con risorse che furono una goccia in un mare. Il comando francese, invece, riconobbe un indennizzo massimo di 150.000 lire una tantum alle vittime di stupri operati dai loro soldati coloniali. La società Restituire fu incaricata di raccogliere le domande di risarcimento attraverso i Comuni di residenza delle donne interessate all’indennizzo. Complessivamente le richieste di risarcimento furono 50.000. L’Intendenza di Finanza di Frosinone erogò a titolo di indennizzo la somma di lire 100.000 a molte donne della provincia, che dimostrarono di aver subito violenza dalle truppe marocchine. La legge n. 648 dell’agosto del 1950 stabilì i termini per la pensione di guerra, ma era indispensabile aver riportato nella violenza un’infermità fisica, mentre nessuno voleva considerare i danni morali e psicologici dello stupro. Da subito la risposta del Governo fu che non fosse possibile cumulare indennizzo e pensione.Al di là dei risarcimenti economici alle vittime delle marocchinate, anch’esse definite in tal modo, c’era però da impegnarsi nella ricostruzione della vita di queste donne. Uscire dal senso di annientamento, ridare un significato alla vita indicava spesso per loro la possibilità di condividere le proprie esperienze traumatiche con gli altri. Uscire dal silenzio era un modo per trovare aiuto, laddove le vittime cercassero giustizia. In tale direzione fu messo in campo un vero e proprio lavoro umanitario da parte dell’UDI, un’associazione di sole donne nata nel 1945 con caratteristiche originali per la realtà italiana di quei tempi. Fu così che tale unione intervenne nel Cassinate attraverso l’Associazione donne del Cassinate, visto che l’UDI in quegli anni era organizzata sulla base di cosiddette “associazioni differenziate”. Si cominciò a contattare le donne della “Zona della Battaglia”, si promossero “quadri”, come si diceva allora, per il lavoro politico in loco e si mise in campo un contatto porta a porta, nel tentativo di provare a parlare con le vittime degli stupri. Si voleva conoscerle personalmente ed informarsi sulle loro condizioni, metterle al corrente dei loro diritti e di quello che potevano richiedere.Parlare e ascoltare, distribuire moduli e brevi questionari anonimi, partecipare al loro dolore, anche nella povertà estrema mai esibita ma evidente, fu l’impegno profuso. Le attiviste dell’UDI vollero incontrare nelle loro case le sopravvissute per fare di una tragedia personale, per cui mancavano le parole per esprimerla, una battaglia consapevole e collettiva. Cercando di capire quante fossero state coinvolte, con quali conseguenze e come fare a richiedere sia l’indennizzo che la pensione per avere un sollievo minimo materiale. Un ristoro che, però, aveva anche il significato simbolico del riconoscimento della responsabilità degli autori delle violenze e del risarcimento di una colpa altrui. Maria Maddalena Rossi, presidente nazionale dell’UDI, nonché parlamentare del Pci, visitò ripetutamente tutti i paesi del Cassinate, accompagnata da donne locali ed anche da Luciana Romoli, dell’Associazione Ragazze Italiane, per parlare con le donne testimoni o vittime delle violenze. Malgrado le grandi difficoltà economiche e logistiche, fecero i conti con donne piagate, con malattie e povertà estrema, con gravidanze forzate e racconti di neonati morti troppo facilmente, appena venuti alla luce, per “raffreddore” , oppure affidati ad altri. Ebbero modo di conoscere la rabbia dei mariti e i suicidi, come anche l’abbandono dello Stato. Da atti ufficiali della Prefettura di Frosinone e dagli storici in genere questo impegno di condivisione, solidarietà ed aiuto fu definito come l’intervento delle comuniste dell’UDI in Parlamento. Grazie al loro lavoro casa per casa, comprovato dagli atti presenti nell’archivio centrale dell’UDI, le sopravvissute rivendicarono pubblicamente il diritto alla pensione di guerra in un convegno tenutosi a Pontecorvo nel 1951, osteggiato dalle forze dell’ordine e dal ministro Scelba.Il 16 ottobre dello stesso anno Maria Maddalena Rossi depositò alla Camera dei deputati una interpellanza al ministro del Tesoro, per richiedere il riconoscimento dei risarcimenti alle migliaia di donne violentate dai militari coloniali francesi nel maggio di sette anni prima. L’interpellanza, fu discussa solo il 7 aprile dell’anno successivo e la parlamentare in questione dopo la descrizione analitica delle vicende, in sede di conclusione del suo intervento pronunciò tali parole: «Noi diciamo: applicate pure le leggi vigenti, ma studiate anche provvedimenti speciali per questa mutilazione orrenda che la guerra ha causato, studiate qualcosa di diverso per questo male diverso da tutti quelli, pure gravi, che la guerra ci ha lasciato da curare».L’obiettivo minimo e immediato della deputata comunista era assicurare alle donne ciociare un assegno a vita, un risarcimento con legge speciale che potesse mitigare la sofferenza psicologica di esistenze dal futuro incerto. Rispose per il governo il sottosegretario al Tesoro, Tiziano Tessitori, che contestò i numeri di Maria Maddalena Rossi con puntiglio e in modo burocratico. Per il Governo il problema era superato, non esisteva più, se mai fosse esistito. Furono accostate le «marocchinate» ad altre tipologie di vittime civili, eliminando l’eccezionalità degli stupri anche nei suoi significati storici e politici. Si mise in atto da parte del governo un’operazione di rimozione, per evitare ostacoli nelle relazioni internazionali, tutte ancora da saldare e costruire con le grandi potenze vincitrici. Più che comprensibile la replica irruenta e indignata della deputata: «Come si vede che ella non è una donna!».Sembrava una frase buttata lì, una risposta emotiva e basta, eppure sintetizzava la diversa sensibilità e il diverso approccio tra lei ed il sottosegretario Tessitori nell’interpretare il dramma delle ciociare, di cui solo una donna poteva comprenderne il significato emotivo e psicologico in tutta la sua pienezza ed il suo riflesso esistenziale. L’uomo Tessitore badava soltanto ai risvolti politici ed economici di un’eventuale modifica del sistema pensionistico riformato di recente. La donna Rossi, invece, capendo lo spirito di chi aveva subito una violenza di quel tipo, la considerava distruzione di dignità, offesa alla persona, crimine su quanto è più intimo del corpo e dell’anima, perché legato a valori fondamentali della vita. Differenze politiche tra i due esistevano, certo, ma era presente anche un abisso culturale, una voragine tra sensibilità opposte che avrebbe influenzato per anni il silenzio incombente sul dramma della Ciociaria. Di fronte ad una chiusura senza pietà del Governo italiano, la deputata annunciò la presentazione di un disegno di legge, per assicurare un trattamento pensionistico particolare a quelle donne.Il tentativo di far varare una legge a tutela delle vittime delle “marocchinate” non ebbe più seguito nel corso degli anni immediatamente successivi. Sia le vittime che il movimento delle attiviste a loro supporto dovettero fare i conti con le deboli risorse di cui disponevano, mentre l’opposizione in Parlamento latitava perché troppo debole. Le donne, però, continuarono a ricorrere alla giustizia per via legale e il problema del risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dalle vittime degli stupri di guerra venne risolto favorevolmente dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 561/1987, che dichiarò l’illegittimità costituzionale della normativa riguardante le pensioni di guerra, nella parte in cui non si prevedeva un trattamento pensionistico di guerra a mo’ di indennizzo per i danni anche non patrimoniali patiti dalle vittime di violenze carnali consumate in occasione di fatti bellici. Una sentenza che consentì la presentazione di ricorsi per indennizzo pensionistico legati a quei lontani delitti, ricorsi che per anni ed anni furono all’attenzione dei magistrati contabili italiani.Stante così le vicende storiche e politiche correlate agli stupri perpetrati ai danni delle donne del Frusinate nell’arco temporale di meno di un mese nel maggio 1944, le due recenti proposte di legge presentate dai parlamentari del centrodestra, entrambe finalizzate all’istituzione di una giornata commemorativa per le vittime delle marocchinate, appaiono fortemente strumentali. La prima, quella a prima firma del sen. De Priamo, perché insiste sulla nazionalità degli stupratori, la seconda, a firma del sen. Gasparri, perché fa coincidere la data proposta con la Giornata internazionale contro contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia.Ciò si paleserebbe come un ulteriore spregio contro la minimizzazione e la dimenticanza di cui sono state oggetto le sopravvissute nel corso degli anni. Il livello di distorsione della verità e di manipolazione della violenza politica subita non si è mai interrotto in 80 anni da quella terribile vicenda. Chiedere una legge che indichi una giornata di ricordo non vale a niente, se non si avvia un percorso di verità e giustizia per le donne che subirono gli stupri. È il minimo che si possa mettere in campo a loro favore, anche se ci rendiamo conto che possa essere il massimo per chi in tutti questi anni ha disconosciuto il senso di quell’avvenimento. Ossia quello di stupri di guerra posti in essere da truppe vincitrici della Seconda guerra mondiale che dovevano essere ridimensionati, sacrificando le vittime sull’altare degli interessi politici alla base delle relazioni internazionali dei Paesi vincitori del secondo conflitto mondiale. Vittoria Tola e Maddalena Robustelli
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Vietato a sinistra il titolo di un libro e una domanda
Il tre giugno a Napoli le autrici di “Vietato a sinistra”: un documento di esperienze e approfondimenti sulle aree dei vissuti femminili definite trasversali. Trasversale è una parola di rifugio per i partiti, quella che motiva la possibilità di assumere una postura politica che può evolversi teoricamente in ogni direzione. La sostanza è che la direzione è stata istituzionalmente imboccata senza che nessuno la dichiarasse, evitando a tutti l’onere di esprimere un pensiero sulle donne. Gli incontri per la presentazione del libro sono la concretizzazione del bisogno di porre domande che potrebbero riassumersi in una sola: come ci siamo arrivate? Come siamo arrivate a dover districare i fili ingarbugliati da altri e, non senza qualche disattenzione di cui siamo responsabili, a dover disambiguare perfino il nostro lessico politico? Il femminismo che spinge a queste domande è l’elaborazione di idee e pratiche collettive, non esistono risposte che prescindano dalla diffusione delle domande stesse e dalle proposte tra le donne che avvertono l’indecenza e l’iniquità di quello che un uomo ha definito “l’innominabile attuale”, che al contrario può essere, se non definito, nominato punto per punto.Questo hanno fatto le donne di Vietato a sinistra, hanno nominato le parti più tangibili dell’oppressione moderna, un ganglio proteiforme che dissimula e disorienta perfino le vittime. L’inesigibilità dell’uguaglianza, la recisione del legame figli-madri in caso rottura del rapporto uomo donna, l’additamento della differenza sessuale come causa della ghettizzazione della comunità LGBTQ+, la censura sulle denunce di femminicidi, stupri e violenze, la normalizzazione della prostituzione come sbocco lavorativo, la tolleranza fattuale di tecnologie che invadono la sessualità e la riproduzione (ridotta a una comparto separato), la chiusura degli spazi pubblici all’elaborazione femminista e infine la censura sulla presenza delle donne come soggetto politico di sesso femminile Seguendo il tracciato delle autrici, diventa chiaro e leggibile che l’istituzione del ministero della natalità è un risultato della destra di governo, però in parte ascrivibile a possibilismi e indecisioni del contesto politico “progressista” che non sa schierarsi con le donne, vinto dalla paura di essere e apparire complice di quel sesso femminile che finisce sempre per aprire varchi destabilizzanti “nell’ordine patriarcale naturale e sicuro”.È già successo (per esempio alla presentazione di “donne che allattano cuccioli di lupo” (Adriana Cavarero) che il silenzio delle idee fosse rotto. Si dovrebbe fare in modo che continui a succedere che il femminismo e le donne occupino gli spazi fisici con le loro parole. Ce la faremo? Stefania Cantatore
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UDI 25 aprile 2024
Ottant’anni fa molte donne scelsero la strada della Resistenza contro il nazifascismo, nascosero soldati allo sbando e renitenti alla leva, accompagnarono verso la salvezza perseguitati dalle leggi razziste e prigionieri alleati, salirono in montagna, entrarono in clandestinità, diventarono combattenti con armi e senz’armi, furono le staffette che tessevano lungo strade impervie e pericolose la mappa delle azioni che hanno portato il paese al riscatto della liberazione.Vogliamo sentirci eredi di quella storia da cui è nata l’Unione Donne Italiane, un’idea che ha fatto la storia della Repubblica democratica. Oggi l’Unione in Italia di qualsiasi donna voglia essere con noi perché ci dichiariamo cittadine del mondo. Veniamo dalla storia di donne che hanno affermato la libertà di dire NO alla guerra, al fascismo e nazismo che l’avevano scatenata, alla sottomissione a cui il regime le condannava proprio in quanto donne. Affermarono la libertà di scegliere per sé e di muoversi nella direzione di una liberazione che seppero praticare ben oltre quella prima scelta. Non furono tutte le donne, sono le donne che hanno lottato per tutte e tutti. Altre rimasero a guardare o assecondarono persecuzioni e delitti con la delazione, il sostegno alle truppe occupanti e alla ferocia fascista. Oggi come allora si tratta di scegliere. Dalle strade impervie della Resistenza le donne dell’UDI ricominciarono a inventare la politica delle donne dentro e oltre i partiti, disegnarono l’agire di una società civile che indicava il cammino alla neonata democrazia italiana, furono amiche ma non si chiusero nei circoli amicali, erano intellettuali ma non si chiusero nei cenacoli alla ricerca dell’approvazione maschile, ebbero ruoli politici rilevanti ma non esaltarono le carriere perché pensavano ai diritti da conquistare per tutte, perseguirono con tenacia l’alleanza tra donne proseguendo la lezione dell’antifascismo, convocarono manifestazioni, inventarono l’8 marzo e mille modi per tessere relazioni politiche tra donne nel quotidiano delle vite, furono appassionatamente pacifiste, operarono continuamente il riconoscimento tra donne nelle grandi convergenze in cui fioriva il femminismo degli anni ’70 e si affacciava alla politica la generazione che avevano sognato libera. Questa è la storia che custodiamo negli archivi e di cui scegliamo oggi di essere testimoni e agenti.Una storia che vogliamo rinnovare nell’impegno per la difesa dei diritti conquistati celebrando un 25 aprile in cui affermiamo la necessità di continuare la lotta di liberazione. Liberazione dalle guerre.Liberazione di ogni vita perseguitata, sfruttata, offesa.Liberazione dall’asservimento ai potenti che manipolano pensieri e sentimenti.Liberazione dalla paura di lottare.Liberazione dal potere che le donne agiscono come ancelle del patriarcato.Liberazione di tutte le donne dalla precarietà del vivere perché le donne libere possono liberare l’umanità. Ci vuole coraggio per essere oggi testimoni di libertà e staffette di speranza, ma sappiamo che nel buio fitto del disincanto in cui si mescolano orrori e compiacenze, miseria e spreco, dolore e dissipazione, vulnerabilità e ferocia, possiamo scegliere come le donne di ottant’anni fa che hanno tracciato la strada. Con le donne Resistenti impegnate a generare il futuro di pace e libertà che continuiamo tenacemente a sognare.
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